La parte principale la sostiene in alcune recite il navigato Ferruccio Furlanetto, ma Alexei Tanovitski, impegnato nelle altre, è una vera rivelazione. Il timbro è bello, ieratico, profondo, e il fraseggio è autorevole nello stesso tempo in cui è duttile e morbido. Ha certo un bel futuro perché il presente è molto più che promettente.
Teatro Massimo. Palermo - Boris Godunov
PALERMO
Scelta coraggiosa che «Boris» (in parte) ripaga
A ltri corrono ai ripari programmando solo titoli «sicuri». Al Massimo di Palermo, invece, crisi e difficoltà non tolgono di mezzo il Boris di Musorgskij che, per quanto ne siano unanimemente riconosciute l' importanza e la bellezza, è titolo a rischio a valutarlo dal punto di vista del botteghino. Oltre che coraggiosi, sono avveduti poiché lo mettono in scena nella versione originale del 1872 (edizione Lamm), certo la preferibile senza nulla togliere ai pregi delle altre. La scrittura di George Pehlivanian per la direzione delle masse artistiche è poi scelta prudente perché l' esperienza di questi in materia è acclarata. Prudente ma convincente solo in parte.La parte principale la sostiene in alcune recite il navigato Ferruccio Furlanetto, ma Alexei Tanovitskij, impegnato nelle altre, è una vera rivelazione. Il timbro è bello, ieratico, profondo, e il fraseggio è autorevole nello stesso tempo in cui è duttile e morbido. Ha certo un bel futuro perché il presente è molto più che promettente. Se infatti nei meravigliosi declamati l' interprete americano rivela una mano sensibile, capace di sottolineare le qualità monteverdiane della prosa musicale di Musorgskij, nelle grandiose scene corali l' opera perde di incisività e mordente, edulcorandosi in monocromatiche, inutili lunghezze. Date queste circostanze, va da sé che il coro non dia il suo meglio e tenda a smarrire il nitore nelle articolazioni, mentre la compagnia di canto è messa nella condizione di dare il meglio. La parte principale la sostiene in alcune recite il navigato Ferruccio Furlanetto, ma Alexei Tanovitskij, impegnato nelle altre, è una vera rivelazione. Il timbro è bello, ieratico, profondo, e il fraseggio è autorevole nello stesso tempo in cui è duttile e morbido. Ha certo un bel futuro perché il presente è molto più che promettente. Affianca il protagonista un cast assemblato con cura, nel quale si distinguono il Pimen di Marco Spotti, lo Scelkalov/Rangoni di Igor Golovatenko e il Suiskij di Jan Vacik. Dmitrij Voropaev, che fa la parte struggente dell' Innocente, ovvero del Folle in Cristo, o se si preferisce dello Scemo del villaggio (figura chiave dell' opera come della tragedia di Puskin da cui è tratta), è interprete capace di trovare le dosi di lirismo surreale che occorrono. Delude invece Hugo de Ana che come sempre firma tutto: regia, scene e costumi. L' artista argentino rischia ormai di diventare nella messinscena quello che Salvatore Sciarrino è da tempo nella composizione, ossia un epigono di sé, il continuatore di una maniera che un tempo ha affascinato ma ora non più. La dimensione epica del lavoro la traduce in scatole sceniche grandiose e apocalittiche, contenitori di una gestualità statuaria. Il teatro non è tutto esaurito. Ma gli applausi sono vivaci e prolungati. RIPRODUZIONE RISERVATA Boris Godunov di Modest Musorgskij Teatro Massimo di Palermo.
Girardi Enrico